Capitolo III

L’ADHD

3.1  L’ADHD si configura come un disordine dello sviluppo neuro psichico del bambino, dell’adolescente, e in minima percentuale dell’adulto, caratterizzato da iperattività, impulsività e incapacità a concentrarsi che si manifestano generalmente prima dei 7 anni d’età. La frequenza della patologia è stimata pari al 4% nella popolazione infantile.

La sindrome è stata descritta clinicamente e definita nei criteri diagnostici e terapeutici dal DSM-IV,  utilizzato come riferimento mondiale.

Secondo tali criteri l’ADHD è connotato da due ordini di sintomi o dimensioni psicopatologiche: inattenzione e/o impulsività/iperattività. Utilizzando un criterio diagnostico più restrittivo, l’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD-10) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, definisce la presenza di “disordine ipercinetico” quando siano compresenti sintomi di iperattività, di comportamenti impulsivi e di deficit di attenzione.

L’inattenzione (o facile distraibilità) si manifesta soprattutto come scarsa cura per i dettagli, incapacità a portare a termine le azioni intraprese, evitamento delle attività che richiedano attenzione per i particolari o abilità organizzative, smarrimento frequente di oggetti significativi o dimenticanza di attività importanti. L’impulsività si manifesta come difficoltà di organizzazione di azioni complesse, tendenza al cambiamento rapido da  un’attività ad un’altra e difficoltà ad aspettare il proprio turno in situazioni di gioco e/o di gruppo. Tale impulsività è generalmente associata ad iperattività: questi bambini vengono descritti "come mossi da un motorino", hanno difficoltà a rispettare le regole, i tempi e gli spazi dei coetanei e soprattutto difficoltà oggettive nell'autocontrollo e nella capacità di pianificazione.

Tale sintomatologia deve essere presente  in almeno due diversi contesti della vita del bambino (casa, scuola, ambienti di gioco), causando una significativa compromissione del funzionamento globale (APA 1994).

Quando tali modalità di comportamento sono persistenti in tutti i contesti e costituiscono una caratteristica costante, esse possono compromettere in modo decisamente rilevante le capacità di pianificazione ed esecuzione di procedure complesse.

Secondo i criteri del DSM-IV possono essere distinti tre tipi di ADHD: uno prevalentemente inattentivo, uno prevalentemente iperattivo/impulsivo ed uno combinato (APA 1994). I bambini con ADHD mostrano, soprattutto in assenza di un supervisore adulto, un rapido raggiungimento di un elevato livello di "stanchezza" e di “noia” che si evidenzia con frequenti spostamenti da un'attività, non completata, ad un'altra, perdita di concentrazione e incapacità di portare a termine qualsiasi attività protratta nel tempo. Nella gran parte delle situazioni, questi bambini hanno difficoltà a controllare i propri impulsi ed a posticipare una gratificazione: non riescono a riflettere prima di agire, ad aspettare il proprio turno, a lavorare per un premio lontano nel tempo anche se consistente. Quando confrontati con i coetanei, mostrano una eccessiva attività motoria, tale da compromettere l’adeguata esecuzione dei compiti richiesti. L’incapacità a rimanere attenti ed a controllare gli impulsi fa si che, spesso, i bambini con ADHD abbiano una minore resa scolastica e sviluppino con maggiore difficoltà le proprie abilità cognitive.

Frequentemente questi bambini mostrano scarse abilità nell’utilizzazione delle norme di convivenza sociale, in particolare in quelle capacità che consistono nel cogliere gli indici sociali non verbali che modulano le relazioni interpersonali. Questo determina una significativa interferenza nella qualità delle relazioni.

Le difficoltà relazionali e scolastiche, i continui rimproveri da parte delle figure di autorità, il senso di inadeguatezza, fanno si che questi bambini sviluppino un senso di demoralizzazione e di ansia, che accentua ulteriormente le loro difficoltà. Mentre la normale iperattività, impulsività e instabilità attentiva non determinano significative conseguenze funzionali, il vero ADHD determina conseguenze negative a breve e lungo termine.

Quanto sopra riportato sembra riferirsi, in realtà, più che a una categoria di sintomi, a tratti temperamentali e comportamentali; in altri termini le definizioni sembrano piuttosto “deboli” per aspecificità e  scarsa significatività dei criteri diagnostici che, inoltre, facilmente possono sovrapporsi a quelli di altri quadri psicopatologici dell’età evolutiva (Bernabei, Levi, Romani).

Molte condizioni patologiche  “mimano” gli effetti di un ADHD, ad esempio i disturbi di condotta, dell’umore, oppositivo-provocatorio, d’ansia, ossessivo compulsivo, o ancora, i disturbi pervasivi dello sviluppo, disturbi sensitivi, patologie tiroidee ed altro.

Studi epidemiologici nordamericani mostrano che, sia in campioni clinici che di popolazione, circa 2/3 dei bambini con ADHD hanno un disturbo associato, tipicamente disturbi di apprendimento e/o psicopatologici.

Gli interventi terapeutici sono di tipo farmacologico (psicostimolanti e altri farmaci più recenti come l’atomoxetina ) e/o psicoeducativo coinvolgenti sia ai genitori sia agli insegnati.

Nella maggior parte dei casi la patologia si risolve entro l’età adulta, mentre in altri casi l’iperattività permane come senso di irrequietezza interno oppure conduce ad abusi di sostanze o stili di vita segnati da insuccessi lavorativi e relazionali.