2.3 ADHD e metafora frontale

Sulla base di evidenze genetiche e neuro-radiologiche e’ oggi giustificata la definizione psicopatologica del disturbo quale disturbo neurobiologico della corteccia prefrontale e dei nuclei della base, che si manifesta come alterazione nell’elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali (Swanson). Significative analogie sono state rilevate fra i sintomi ADHD e quelli prodotti da lesioni o ferite ai lobi frontali.

La Sindrome prefrontale o Sindrome disesecutiva  (Baddeley, 1988) si caratterizza infatti per:

• perseverazioni e mancanza di flessibilità nella formulazione e  nell’uso

di strategie cognitive,
• incapacità di inibire risposte comportamentali ed emotive incongrue con l’ambiente e la situazione stimolo,

• incapacità di astrazione e di pianificazione,

• deficit di focalizzazione e mantenimento dell’attenzione volontaria, attenzione automatica intensificata.

Inoltre, i risultati di tests neuropsicologici associati a funzioni dei lobi prefrontali, insieme al rischio significativamente più rilevante di compresenza del disturbo in membri della stessa famiglia, concordano con tale ipotesi.

Alcuni studi rivelano una diminuzione del flusso sanguigno nelle regioni prefrontali e precisamente nei circuiti che le connettono al sistema limbico attraverso la via caudata, nella regione dello striato. Altri studi evidenziano significative relazioni con gli equilibri neurotrasmettitoriali di norepinefrina e dopamina e ciò sarebbe confermato dalla reattività dei pazienti ADHD a farmaci che intervengono sul reuptake di tali neurotrasmettitori. Tecniche di Risonanza Magnetica Nucleare hanno messo in evidenza che la corteccia frontale ed alcuni nuclei della base (nucleo caudato ed il globo pallido) dei bambini con ADHD risultano più piccoli di quelli dei bambini di controllo: tali differenze risultano maggiori nell’emisfero destro, ed appaiono correlate in maniera statisticamente significativa con alterazioni nelle capacità di inibire la risposta motoria a stimoli ambientali. Con tecniche più sofisticate è stato messo in evidenza che, nei bambini e negli adulti con ADHD, tali regioni del cervello mostrano tempi di attivazione più lenti e consumano meno ossigeno delle regioni corrispondenti dei bambini o adulti di controllo (Silberstain,et al. 1998, Zametkin et.al. 1990).

Numerosi dati indicano che il fattore patogenetico fondamentale del disturbo possa essere costituito specificamente da un deficit nelle capacità di inibizione delle risposte impulsive (response inhibition) mediate dalla corteccia prefrontale (Schachar & Logan 1990; Barkley 1997); tale deficit appare determinato dalla ipoattività del Sistema di Inibizione comportamentale. L’inibizione comportamentale, cioè  la capacità di posticipare la risposta ad un evento stimolo, che si verifica evolutivamente con l’espansione dei lobi frontali, permette quegli atti di autoregolazione che creano l’occasione allo sviluppo delle funzioni esecutive come già precedentemente descritte. In particolare l’inibizione mediata a livello prefrontale sarebbe il requisito fondamentale per l’attivazione e lo sviluppo delle abilità mnestico-procedurali, intese come comportamento privato, diretto a sè, interiorizzazione del discorso da cui derivano capacità di analisi e sintesi implicite nella pianificazione  e per l’esecuzione di azioni “a ricompensa ritardata” (Bronowski). In altri termini sarebbe proprio la capacità di inibire il comportamento impulsivo e l’iniziale valenza emotiva provocata dallo stimolo, a permettere di registrare le informazioni in entrata consentendo, sia l’elaborazione simultanea dell’evento da parte di più di un sistema cerebrale che, di conseguenza, la divisione del segnale nei suoi aspetti emotivi, sensoriali, di contenuto e di informazione. A conferma, i soggetti con ADHD mostrano un comportamento meno maturo nella gestione delle emozioni e fanno dipendere le loro motivazioni e spinte più da situazioni contingenti che dalla progettazione.