Conclusioni

La batteria di test che abbiamo proposto ci risulta essere, nell’immediato, uno strumento di rilevazione congruo a piani di terapia “funzionali” e individuali, fondati su misurazioni realistiche e, per la struttura stessa del codice di programma, non manipolabili.

Riteniamo che anche solo questo elemento basterebbe a giustificare l’utilità di approfondimenti su dimensioni campionarie più significative ai fini di costruire procedure diagnostiche e terapeutiche sempre più “fondate sull’evidenza”.

Siamo convinti che un analisi di correlazione statistica relativa alle singole cadute specifiche e non solo all’andamento globale degli indicatori attentivi, dei soggetti ADHD/DDA, potrebbe dare risultati ulteriormente significativi.

Ad un altro livello di analisi, vogliamo sottolineare come la tipologia delle informazioni che abbiamo ottenuto dalla sperimentazione, rimandi a una teoria dell’attenzione che si fonda sostanzialmente sulle regole della discriminazione percettiva.

La tipologia dell’intervento che ci compete si deve integrare invece su entrambi i versanti: al livello dell’azione, del funzionamento finalizzato, della proceduralità esecutiva, del funzionamento senso-motorio e dell’integrazione periferico-corticale, come al livello della percezione e  dell’integrazione cortico-corticale.

A questo scopo, l’approccio della “percezione-azione”  (Neumann, Van der Hajiden 1996) con la sua proposta dell’attenzione per l’azione, ci propone un modello teorico operativamente utile e congruo con le finalità sostanzialmente pragramatiche della nostra professione.

Secondo questa impostazione, la percezione e la rappresentazione convergono funzionalmente per il controllo dell’azione e le strutture cognitive emergono dagli schemi senso-motori e dai bisogni, nell’ambito di processi co-evolutivi di organismi e ambienti.

L’attenzione si identifica con l’attivazione di mappe o rappresentazioni spaziali strettamente legate alla preparazione del comando motorio sia nel caso di un movimento saccadico di foveazione dello stimolo sia nel movimento manuale di raggiungimento di un oggetto nello spazio.

Questa teoria quindi non contempla una funzione attenzionale specifica dal momento che essa sarebbe rappresentata dall’insieme delle funzioni sensoriali o motorie relative ad una determinata azione e ad  una particolare  motivazione: in altri termini, le funzioni corticali “hanno una storia” ineludibile di accoppiamenti strutturali con il corpo, con la sua possibilità di movimento ed azione, con le sue motivazioni e i suoi “bisogni” (Maslow).

Ogni “funzione” è “relazione” e l’attenzione è per noi descrivibile come funzione correlativa della percezione all’ambiente, alle sue richieste,  alle motivazioni, alle competenze ed alle spinte biologiche individuali. E’ in questo ambito, cioè al livello della progettazione e dell’azione “ecologica” condivisa, oltre a quelli molecolari percettivi, che si deve collocare la nostra opera di riabilitatori.