Capitolo I

1.1  La nascita del concetto di attenzione

 

Nell’Introduzione alla psicologia del 1911, Wundt pone come basilare la distinzione tra fatti percepiti di cui siamo “più o meno oscuramente consapevoli” e fatti appercepiti “di cui siamo consapevoli in modo chiaro e distinto”, caratterizzati dallo “stato di attenzione”.

Dello stato di attenzione sarebbe possibile descrivere ciò che produce, quindi la chiarezza, il rilievo di pochi elementi consapevoli, l’inibizione di altri e le sue condizioni, mentre sarebbe negata la possibilità di studiarne la dinamica in quanto processo mentale non raggiungibile attraverso il metodo dell’introspezione.

Titchener riassunse schematicamente i fattori dell’attenzione individuati da Wundt: dalle caratteristiche fisico temporali dello stimolo, agli aspetti di significatività che assume per il soggetto ed infine alla disposizione psicofisica e alle aspettative di quest’ultimo. E’ sua l’affermazione su cui poggia l’assunto di alcune delle teorie classiche moderne che l’attenzione sia un  meccanismo a capacità limitata: “l’aumento in chiarezza di parte del contenuto della coscienza comporta una diminuzione in tutto il resto: perché la quantità di attenzione è limitata e praticamente costante”.

L’interesse per l’analisi dei modi di operare dell’attenzione lo avvicina all’impostazione funzionalista che alla fine dell’ottocento vede come maggior esponente William James. E’ con questo autore che l’attenzione si configura come un processo unitario e attivo il cui aspetto principale è quello della selezione, della “scelta di quale parte del mondo ci apparirà”. Si solleva il problema dell’attenzione simultanea individuando due differenti tipi di processi che possono essere responsabili della limitazione dell’attenzione, l’uno di tipo seriale, l’altro in parallelo. La conclusione di James è che siano plausibili entrambe le possibilità e che particolare peso assumano comunque i fattori relativi alla difficoltà del compito e specifici all’apprendimento.

Nel secondo decennio del novecento, l’emergere di due nuove impostazioni teoriche, il comportamentismo e il gestaltismo, segna il declino dell’interesse per il concetto di attenzione.

Le regole che descrivono le relazioni tra stimolo e risposta sono infatti tali da escludere la partecipazione di un processo attivo come l’attenzione e la stessa conclusione è implicita all’approccio gestaltico che riduce a sua volta tutte le funzioni cognitive all’organizzazione del campo percettivo. Koffka nel 1935 dichiara che l’analisi dell’attenzione di cui si erano occupati Wundt e Titchener era ormai del tutto priva di interesse. Se l’attenzione infatti è una forza “io-oggetto” che agisce entro il campo comportamentale e se “le forze che collegano l’io con le altre parti del campo hanno la stessa natura di quelle esistenti tra le diverse parti del campo ambientale”, essa non può che seguire le leggi base che regolano la dinamica del campo stesso.

In Russia, l’approccio fondato su rilevazioni elettrofisiologiche di autori quali Sokolov e Vinogradova, stimolò lo sviluppo degli studi delle funzioni cognitive superiori. In Europa occidentale invece, le medesime fondamenta strutturarono una visione sostanzialmente meccanicistica e riduzionistica del comportamento umano.